IL DISTURBO DA ATTACCHI DI PANICO

COME SI MANIFESTA

Puo’ avere diverse modalità di  manifestarsi; di solito la persona inizia a sentirsi angosciata e a percepire dei cambiamenti nel corpo che segnalano una sorta di cedimento interno; spesso riferisce la sensazione di mancanza ossigeno oppure sente che il cuore inizia battere all’impazzata o ancora si è preda di vertigini;  è un po’ come se il pavimento che ci sostiene stesse per crollare; si avverte il terrore di essere inghiottiti in una voragine senza fondo. L’attenzione si fa molto vigile nel cogliere tutti i cambiamenti del corpo in atto e l’ansia aumenta di intensità convincendo il malcapitato di essere nell’imminenza della propria morte. La paura dilaga, diventa vero e proprio panico incontenibile, un fenomeno emotivo travolgente, non controllabile. Pare che i primi segnali che scatenano il terrore panico siano di natura psichica, percettiva; gradualmente innescano reazioni neurochimiche e neurovegetative (aumento della pressione arteriosa, sudorazione, palpitazioni). Per questo è importante nel tempo  riconoscere quei segnali e analizzarli nel colloquio clinico per riuscire a‘disinnescare’ l’insorgere della crisi.

E’ diverso dal semplice attacco d’ansia perché chi ne è vittima pur percependo i sintomi fisici che indicano un cambiamento anomalo è in grado di tenere sotto controllo la preoccupazione e non farsene travolgere.

Anche quando la persona ha fatto esperienza di diversi attacchi di panico e quindi razionalmente dovrebbe essere consapevole del fatto che non muore ‘veramente’ ma che è ‘solo’ preda di un’angoscia non arginabile, non riesce a farsene una ragione e quando i sintomi dell’attacco di panico tornano a manifestarsi il terrore di morire lo annichilisce di nuovo.

Una volta che il primo attacco si è manifestato esso ha la tendenza a ripetersi ma non è inevitabile che si ripresenti; è come se si fosse  tracciato nel cervello un percorso preferenziale che tende a riprodursi fuori dal controllo cosciente.

Una fervida immaginazione facilita l’innescarsi della crisi: il malcapitato ad esempio è convinto che veramente stia per rimanere bloccato nel traffico e non potrà  uscirne, oppure che sta per essere vittima di un infarto o ancora che l’ascensore in cui si trova sia in procinto di sfracellarsi nella tromba delle scale.

A volte le situazioni in grado di scatenare le paure sono circoscritte e tali rimangono; il loro insorgere potrebbe essere legato ad un momento di particolare stress che ha contribuito a far sentire la persona fragile ed esposta ad eventi esterni; a volte scompaiano con il semplice passare del tempo oppure si modificano; invece nelle situazioni ingravescenti la paura si estende a macchia d’olio e gli attacchi si fanno sempre piu’ invasivi e ripetuti, fino a costringere le persone a confinarsi dentro casa o comunque a non allontanarsene senza la presenza di una persona conosciuta. Può rendersi a quel punto necessario assumere dei farmaci, antidepressivi e ansiolitici, al fine di arginare le crisi e consentire una qualità di vita decente.

LA PSICOANALISI  CI HA AIUTATO A CAPIRE CHE…

La capacità personale di gestire l’ansia probabilmente è frutto di un apprendimento precoce avvenuto all’interno della relazione con le proprie figure di accudimento primario.

La figura materna è come un ‘contenitore’ delle emozioni del proprio bambino; quando le cose funzionano una mamma è in grado di capire i suoi stati d’animo, di accoglierli e rispondere in maniera adeguata . I bisogni del bambino sono di tipo somatico (fame, sete, sentirsi bagnato…) ma anche emotivi (inquietudini,  bisogni di vicinanza); la mamma sufficientemente buona, sa rispondere adeguatamente, calmando il proprio bambino con il contatto fisico e il tono della voce; lo aiuta a tranquillizzarsi e a vivere con maggior serenità tutti gli stati di tensione interna che si manifestano. Quella che all’inizio è una funzione mentale adulta fatta di comprensione, accoglimento e risposte sintoniche, nel tempo diventa una risorsa personale, perché gradualmente il bambino si fa  più autonomo nel vivere i propri stati emotivi, lasciandoli fluire, senza che ‘tracimino’ e necessitino per essere contenuti, della presenza di un altro.

I contributi della ricerca sugli stili di attaccamento precoci tra il bambino e la mamma hanno contribuito a chiarire questi meccanismi, usando metodi sofisticati, fatti di riprese video su lunghi periodi e di osservazioni di ricercatori esperti.

Quindi la capacità di gestire l’angoscia senza lasciarsene travolgere sembra riconducibile ad una risposta materna insufficiente o inadeguata nel suo compito di accogliere lo stress con le relative manifestazioni somatiche e saperla contenere. Questi stili di relazione si trascrivono nella memoria  piu’ antica (in particolare sembra in due formazioni cerebrali che si chiamano amigdala e ippocampo) e si possono riprodurre in maniera automatica, soprattutto in particolari momenti di vita (momenti di cambiamenti importanti, separazioni, lutti, passaggi d’età ecc,) quando ci si sente maggiormente vulnerabili.

Non si tratta di ricordi veri e propri, strutturati come racconti che sono tipici delle funzioni di memoria evolute e coinvolgono anche la corteccia cerebrale, con il suo compito elaborativo e di collegamento ma sono piuttosto  tracce di sensazioni fisiche legate alla paura, che tendono a riprodursi fuori dal controllo cosciente.

LE CURE

Oggi ci sono diversi approcci di cura per gli attacchi di panico, in grado di incidere a diversi livelli di profondità della personalità e  possono essere complementari tra loro. Chi soffre di questo fastidioso disturbo non deve rassegnarsi e come a volte accade, chiudersi in casa, per il terrore di perdere il controllo sul proprio malessere quando si è fuori da mura sicure. E’ necessario cercare con pazienza il rimedio più efficace per sé, tenendo presente che potrebbe non essere di immediata individuazione, ma richiedere un po’ di tentativi.

Vediamo quali sono gli approcci di cura:

– l’approccio cognitivo-comportamentale

– l’  appoccio farmacologico

– l’approccio psicoanalitico

L’approccio farmacologico prevede la somministrazione di antidepressivi e ansiolitici al bisogno; l’obiettivo è incidere su uno stato depressivo sottostante; i farmaci antiansia invece moderano le reazioni somatiche dovute ad una eccessiva attivazione del sistema neurovegetativo e contengono l’insorgere di ansia sul momento.

L’approccio cognitivo comportamentale aiuta i pazienti a riconoscere quali sono gli stimoli, le fantasie, le percezioni che provocano l’insorgere dell’ansia e insegna delle strategie di pensiero per controllarli.

L’approccio psicoanalitico lavora sugli aspetti  profondi della psiche e va ad incidere sulle strutture della personalità, sull’identità, sulla crescita emotiva; lo scopo è di risolvere la sofferenza del paziente sul piano della manifestazione sintomatica ma non si limita a questo. La persona affronta passo dopo passo, le sequenze mentali che gli procurano sofferenza, condividendole con il terapeuta e divenendone sempre piu’ consapevole.

Il paziente è in una posizione attiva, perché parla di sé e impara a conoscersi in profondità,  aumentando gradualmente la sensazione di essere padrone della propria persona. In ultima analisi gli psicoterapeuti ad indirizzo psicoanalitico sono concordi sul fatto che alla base del sintomo ci sia una problematica di strutturazione della personalità e che la terapia abbia come obiettivo l’approfondimento della conoscenza personale, lo sviluppo mentale e di conseguenza il raggiungimento di una maggiore autonomia nelle scelte e nelle valutazioni personali.

(dott.ssa Marcella Dittrich psicologa-psicoterapeuta)