…condizione tutt’altro che rara oggi, dovuta al modo in cui si è cresciuti (senza rispecchiamenti significativi da parte dell’ambiente) che può permanere nel tempo in assenza di consapevolezza e di un lavoro di cambiamento personale. L’ambiente in cui oggi viviamo non ci aiuta; non favorisce la riflessione, ci bombarda di stimoli, merci, parole, immagini in un movimento continuo e disordinato; mette a tacere il disagio emotivo con droghe, psicofarmaci, comportamenti ripetitivi, semplicistiche ‘guide fai da te’ del benessere.
La capacità di stare soli e bene con sé stessi non è da tutti e infatti è considerato un indice importante di maturità mentale.
Il filosofo Montaigne diceva “bisogna riservarsi un retrobottega tutto nostro, del tutto indipendente, nel quale stabilire la nostra vera libertà…” e, aggiungo io, poter trovare un equilibrio anche in condizioni di distanza dagli altri.
Queste erano le mie riflessioni di ieri sera, sollecitate dal racconto di Rossella che in lacrime, mi descriveva quanto si sentisse infelice con il suo nuovo compagno, che la rimproverava costantemente di non essere abbastanza per lui e di non comportarsi secondo le sue aspettative; “è un rapporto malato, dottoressa, dove i momenti di condivisione piacevoli sono pochi … mi rendo conto” . Tuttavia non riusciva a fare a meno di cercarlo per parlargli, tanto da telefonargli e mandare messaggi, nonostante avessero concordato un’interruzione ‘tattica’ dei contatti di almeno due settimane.
“Sento il vuoto…e il pensiero di lui si fa ossessione; arriva il momento in cui devo vederlo per forza, per lenire il malessere”
Ma il legame con il compagno sembra avere più la funzione di sedare la paura della solitudine piuttosto che consentire il piacere della condivisione amorevole; non era un caso che questa nuova relazione della paziente fosse nata mentre l’altra si stava concludendo, senza intervalli di tempo tra le due. Cioè Rossella si illude che l’altro possa riempire un vuoto identitario personale, che non le consente di sentirsi sicura di sé e nelle relazioni e crea i presupposti per una dipendenza affettiva poco appagante e svalutativa delle proprie risorse; esse restano inespresse perché poco integrate o conosciute.
E allora per introdurre il discorso, le chiedo: “Ma a lei cosa piace fare il week end quando è sola?”
Quali circostanze la fanno stare bene? “Bella domanda dottoressa…Ultimamente non saprei…”
E così spostiamo il discorso da ‘lui’ a ‘lei’, interrogandoci su cosa le piace, su cosa sente, su cosa vorrebbe…insomma su chi è.