La ‘sindrome cuscinetto’

E’ un termine che mi è venuto in mente ieri, quando dialogavo con una mia giovane paziente. I diversi passaggi del suo racconto finivano per delineare uno stile relazionale in cui sul posto di lavoro, in famiglia e con il partner lei rivestiva sempre il ruolo di mediatrice.

Nel nome del quieto vivere infatti, si impegnava con grande diplomazia a far sì che i conflitti o i malumori altrui fossero contenuti, smussati, compresi. Motivava questo atteggiamento, sottolineando che fosse richiesto dalla complessità della vita..già così difficile di per sé…

Per lei era naturale farlo perché da sempre si  era ‘trovata’ in quel ruolo.

Si infatti aveva cominciato a comportarsi così aveva nella sua famiglia d’origine. Naturalmente senza sceglierlo consapevolmente ma semplicemente ‘trovandosi’ a farlo, in maniera del tutto naturale.

Solo un ascolto esterno, come il mio durante i suoi racconti ci ha permesso di capire che la sua identità si era andata ‘plasmando’ in una direzione sacrificale, con l’idea di doversi sempre assumere  il compito di contenere le fragilità o gli eccessi degli altri.

Quali circostanze portano alla ‘sindrome cuscinetto’?  Possono essere di diverso tipo e influire diversamente… Però dovendo elencarne alcune prevalenti direi:

1 – si tratta per lo più di donne

2 – spesso sono persone timide, sensibili, attente agli umori altrui

3 – temono la distruttività degli scoppi d’ira, l’aggressività (propria e altrui)

4 –  hanno assorbito principi morali o religiosi che incitavano al ‘sacrificio’ personale

Quali sono i vantaggi indiretti derivanti dall’assumersi un ruolo di questo tipo?

La sensazione di essere fondamentali per gli altri, che senza il proprio contributo sarebbero ‘persi’ a causa della loro fragilità. Quindi una valorizzazione personale e una svalutazione altrui.

Inoltre si evita la responsabilità di scelte più autocentrate.

E quali invece gli svantaggi della ‘sindrome cuscinetto’?

…che a furia di preoccuparsi delle necessità degli altri si mettono completamente da parte le proprie fino a non sentirle più come una parte autentica e centrale di sé.

Inoltre famigliari e amici apparentemente protetti da un mediatore di questo tipo, in realtà non hanno un vero interlocutore, che mette in gioco ciò che sente; ma qualcuno invece che è impegnato costantemente a mantenere lo status quo.

Quindi a un certo punto la sofferenza deriva dal fatto che lo sforzo di adattarsi agli altri, alle circostanze esterne, ha impedito quella che Carl Gustav Jung, lo psicoanalista svizzero, chiamò ‘individuazione personale’. Cioè il tentativo di rispondere alle domande: ‘cosa sento e cosa desidero veramente, indipendentemente dagli altri…’nelle varie fasi della vita, dal momento che i cambiamenti ci portano a scelte sempre diverse e nuove, a uscire dalla zone di falsa tranquillità personale…

Come aiuto chi soffre di ‘sindrome cuscinetto’?

Una metafora mi può aiutare a chiarire: è come se insieme dovessimo districare una matassa fatta di tanti fili di colori diversi: svolgendola comprendiamo e mettiamo ordine tra il nostro colore e quello degli altri. A quel punto sarà possibile scegliere consapevolmente gli abbinamenti, quando desideriamo che ci siano.

Detta in altro modo, si impara gradualmente a valorizzare ciò che si sente e a metterlo al centro delle scelte personali attraverso il racconto delle varie situazioni di vita e di relazione.