“SFURIATE, ACCUSE, CRITICHE… E POI E’ COME NULLA FOSSE!

…ma io vado sempre più giù e non riesco a capire chi ha torto e chi ha ragione e mi accorgo che ho cominciato a dubitare costantemente di me stessa”.

Una confusione che può costare anni di vita e di malessere sommerso, che porta a dubitare di sé e di ciò che si prova.

Il maltrattamento psicologico è più ambiguo di quello fisico ma non per questo meno dannoso. A differenza delle ferite del corpo le ferite sono meno visibili e quindi meno riconoscibili su un piano concreto. Eppure se non si curano continuano a sanguinare e confinano chi ne è vittima in uno stato di insicurezza e di passività che svuota di energie vitali.

Una conseguenza facilmente riconoscibile ad esempio si manifesta in un pensiero sempre meno libero di progettare e creare scenari di vita differenti perché torna continuamente a ricordare le circostanze di una certa discussione, ad analizzarne i contenuti, a ripetersi spiegazioni perché la mente ha bisogno di trovare un senso a ciò che accade, di condividerlo; soprattutto se chi è coinvolto nelle discussioni è qualcuno che ha un valore affettivo importante, che è stato amato e idealizzato…(un partner, un genitore, un capo sul lavoro…) ; qualcuno da cui è molto difficile prendere le distanze. Inoltre se critiche e rimproveri provengono da una persona che ha carisma e riconoscimento sociale, è ancora più difficile valorizzare e difendere la propria posizione; si è così ‘abituati’ a vedere riconosciute le argomentazioni altrui che i primi a dubitare dei nostri punti di vista finiamo per essere noi stessi…

Se ci prestiamo attenzione diveniamo consapevoli del fatto che la mente in certe circostanze dolorose e ricorrenti come l’esposizione a critiche o sfuriate, tende a funzionare come un disco rotto, che ripete incessantemente lo stesso motivo obbligandoci ad assistere sempre allo stesso spezzone di film interno. Non siamo più liberi di scegliere di pensare o non pensare a ciò che è stato detto, agito. Qualcosa ci ‘obbliga’ a farlo.

Il rischio più insidioso che si corre è quello di chiudersi o di appiattirsi di fronte a un ambiente ostile perché ci si sente impotenti. Si rinuncia ad una parte importante di sé.  Non è infrequente che in circostanze come queste alcuni sintomi fastidiosi facciano la loro comparsa: ansia, gastriti, emicranie fortissime, contratture muscolari. Come se dentro di noi ci fosse una pentola che bolle con un coperchio sopra: più si cerca di sigillarla più la potenza dell’acqua spinge. C’è anche chi inconsapevolmente, finisce per rifugiarsi nella malattia. Da quella condizione di vita, la malattia tende a cronicizzarsi e così ci si difende, evitando il cambiamento e talvolta usando il male fisico per manipolare l’altro. Ma il prezzo è altissimo: quello di una ‘non vita’.

Che fare? Innanzitutto decidere di mettersi in cammino per provare a stringere alleanza con una persona fondamentale: sé stesso. Cosa niente affatto scontata:  chiediamoci ad esempio se solitamente nei nostri stessi confronti abbiamo un atteggiamento accogliente e amorevole, propenso a valorizzare ciò che si sente e si fa. Se come atteggiamento abituale, riconosciamo e accettiamo la nostra unicità senza confrontarci ‘al ribasso’ con gli altri o se al contrario siamo i primi a dubitare di noi. Per questo motivo le critiche altrui trovano un terreno fertile!

Si, perché anche se razionalmente sembra assurdo spesso i primi giudici implacabili verso noi stessi siamo proprio noi! Educazione? Abitudine ai continui rimproveri degli altri? Un’autostima scarsa? Forse tutto questo e altro ancora; tuttavia è possibile lavorare sul presente per cambiare quei condizionamenti distruttivi.

Se ci si è isolati dagli altri, è importante cercare un alleato di cui poterci fidare, qualcuno che possa essere dalla nostra parte perché ci ispira saggezza e autenticità; avere un interlocutore privilegiato è un enorme risorsa, ci fa crescere come individui perché grazie al dialogo con l’altro possiamo definirci, rispecchiarci, ampliare la visione delle cose. Ma anche il contrario, come abbiamo visto: quando dialogo diviene distruttivo, anche noi ci ammaliamo, alienandoci da noi stessi.

Dottoressa Marcella Dittrich